Il personale militare in Italia è soggetto a un regime previdenziale distinto rispetto ai dipendenti pubblici civili. La Riforma Fornero del 2012, che ha aumentato l’età pensionabile e introdotto criteri più stringenti, non si applica al comparto Difesa e Sicurezza. Di conseguenza, i militari continuano ad andare in pensione a un’età inferiore, generalmente intorno ai 60 anni, rispetto ai 67 anni dei dipendenti civili.
Il sistema di calcolo misto della pensione (retributivo fino al 1995, contributivo dal 1996) è ancora valido per chi soddisfa determinati requisiti. Nonostante la Riforma Fornero non si applichi al personale militare, la questione previdenziale resta al centro del dibattito, in particolare per l’assenza della previdenza complementare nel comparto Difesa e Sicurezza. Una lacuna che potrebbe influire sul trattamento pensionistico futuro, rendendo indispensabile individuare soluzioni in grado di garantire una reale sicurezza economica al termine della carriera.
La specificità del comparto Difesa e Sicurezza
La cosiddetta “specificità militare” è il principio che riconosce le peculiarità uniche del servizio svolto dal personale delle Forze Armate e di Polizia: disponibilità permanente, rischi operativi, limitazioni nei diritti sindacali e nei contratti, e obblighi di servizio non previsti per il personale civile. Questo principio, introdotto dal D.lgs. 165/2001 e confermato nel Codice dell’ordinamento militare (D.lgs. 66/2010), giustifica un trattamento normativo, economico e previdenziale diverso da quello civile.
Nonostante ciò, è importante monitorare l’evoluzione normativa e tenere alta l’attenzione su eventuali manovre del Governo in grado di incidere sul sistema previdenziale del comparto Difesa e Sicurezza.
Requisiti minimi per la pensione dei militari
Prima di procedere con la domanda di pensionamento o attendere i limiti ordinamentali, è fondamentale verificare i requisiti minimi aggiornati. Questi, infatti, possono variare di anno in anno in base ai nuovi decreti e aggiornamenti normativi.
La circolare Persomil n. 0064985 del 5 febbraio 2025 chiarisce le condizioni per il collocamento in ausiliaria.
Attualmente, l’età pensionabile varia:
- 60 anni per i militari fino al grado di Capitano di Fregata.
- Da 61 a 65 anni per i gradi superiori.
È richiesto un minimo di 20 anni di contributi per maturarne il diritto. Esiste anche la possibilità di anticipare la pensione con:
- 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età.
- 58 anni di età e almeno 35 anni di contributi.
- 54 anni di età, se al 31 dicembre 2011 si era raggiunta la massima anzianità contributiva (aliquota dell’80%). In questo caso, la pensione decorre dopo 12 mesi dalla maturazione dei requisiti.
Come si calcola la pensione: sistema misto
Il sistema misto, introdotto con la riforma Dini del 1995, si applica ai lavoratori che al 31 dicembre 1995 avevano maturato meno di 18 anni di contributi. Questo metodo prevede una combinazione tra le regole del sistema retributivo e quelle del sistema contributivo, articolata nel seguente modo:
- Quota retributiva: il calcolo si basa sulle retribuzioni percepite negli ultimi anni di servizio. L’importo della pensione viene determinato applicando una percentuale alla retribuzione pensionabile, variabile in base all’anzianità di servizio maturata fino al 31 dicembre 1995. La Corte dei Conti ha stabilito che per i militari si deve applicare un’aliquota del 44%, superiore al 35% usato per i civili dall’INPS.
- Quota contributiva: basata sui contributi versati dal 1° gennaio 1996. L’importo della pensione dipende dal montante contributivo individuale, che viene trasformato in pensione attraverso l’applicazione di un coefficiente di trasformazione legato all’età anagrafica al momento del pensionamento.
Questo modello cerca un equilibrio tra metodo retributivo e contributivo, tenendo conto della carriera militare. Si tratta, però, di un calcolo piuttosto complesso, che richiede un’analisi approfondita della posizione contributiva individuale.
Il sistema contributivo: vantaggi e limiti per i militari
Dal 1996, i nuovi arruolati sono soggetti al sistema contributivo puro, che si basa su un meccanismo di calcolo relativamente semplice. In questo sistema l’importo della pensione dipende solo dai contributi versati nel corso della carriera.
Ogni anno, il personale accumula un montante contributivo individuale, costituito dai contributi versati. Al momento del pensionamento, questo montante viene convertito in rendita attraverso l’applicazione di un coefficiente di trasformazione, il cui valore è legato all’età anagrafica: maggiore è l’età, più favorevole sarà il coefficiente.
Il principio è piuttosto intuitivo: l’INPS deve garantire che il montante contributivo venga distribuito in modo proporzionale alla durata prevista dell’erogazione pensionistica.
Tuttavia, nel caso dei militari — che vanno in pensione a 60 anni, rispetto ai 67 anni dei dipendenti pubblici civili — questo meccanismo comporta alcune conseguenze significative:
- Un montante contributivo inferiore, dovuto alla carriera lavorativa più breve.
- Un coefficiente di trasformazione meno favorevole, legato all’età più bassa al momento del pensionamento.
Di conseguenza, l’importo della pensione risulta spesso meno elevato rispetto a quello dei dipendenti pubblici che raggiungono l’età pensionabile ordinaria. Questi ultimi, infatti, beneficiano sia di un montante contributivo più consistente, sia di coefficienti di trasformazione più alti, in quanto il sistema presume un periodo di erogazione della pensione più breve con l’aumentare dell’età.
Il sistema, quindi, non considera in modo adeguato la specificità della carriera militare, finendo per penalizzare coloro che cessano il servizio prima dei 67 anni.
Va inoltre ricordato che il coefficiente di trasformazione viene aggiornato periodicamente dal Ministero del Lavoro, insieme alla rivalutazione del montante contributivo sulla base dell’andamento del PIL. Questo meccanismo ha lo scopo di tutelare il potere d’acquisto dei contributi versati, evitando che l’inflazione ne riduca il valore nel tempo.
Previdenza complementare: un’opportunità ancora assente
La previdenza complementare, istituita con il Decreto Legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, è una forma di previdenza volontaria finalizzata a integrare il trattamento pensionistico pubblico. È stata introdotta per rispondere alla progressiva riduzione delle prestazioni previdenziali obbligatorie, offrendo ai lavoratori la possibilità di costituire un’ulteriore posizione previdenziale attraverso l’adesione a fondi pensione e altri strumenti previsti dalla normativa.
Nel comparto militare, potrebbe rappresentare uno strumento utile per integrare il trattamento pensionistico. Tuttavia, non è mai stata attuata, poiché militari e forze dell’ordine hanno da sempre un sistema previdenziale autonomo, con regole di accesso e calcolo diverse rispetto al resto del pubblico impiego.
Il sistema pensionistico dei militari non si è ancora adeguato alla previdenza complementare, principalmente per due motivi:
- Assenza di un fondo pensione dedicato: a differenza di altri settori che dispongono di fondi pensione specifici, nel comparto militare non è stato ancora istituito un sistema strutturato di previdenza complementare.
- Età pensionabile più bassa: i militari lasciano il servizio a un’età inferiore rispetto ai dipendenti pubblici. Di conseguenza, con le attuali regole, sia il sistema contributivo che la previdenza complementare potrebbero non risultare sufficientemente vantaggiosi.
In generale, la previdenza complementare prevede aliquote contributive variabili in base al tipo di fondo e agli accordi contrattuali. Se applicata anche al comparto militare, si potrebbero ipotizzare le seguenti condizioni:
- Aliquota a carico del dipendente: generalmente compresa tra l’1% e il 10% del reddito annuo, in base alla tipologia di fondo e alla capacità di risparmio individuale.
- Aliquota a carico dello Stato: nei fondi negoziali, il datore di lavoro può contribuire con una quota aggiuntiva, solitamente compresa tra l’1% e il 3% del reddito del lavoratore.
Ad oggi, manca una struttura ufficiale che consenta ai militari di aderire a questo tipo di previdenza, limitando le possibilità di integrare il trattamento pensionistico.
Previdenza dedicata: verso una maggiore equità
Abbiamo visto che i militari accedono alla pensione con regole diverse rispetto ai dipendenti pubblici, ma il passaggio al sistema contributivo ha penalizzato molti di loro, riducendo gli importi pensionistici. Per i più anziani, la previdenza complementare non offrirebbe vantaggi concreti, mentre i più giovani non dispongono ancora di misure attuative.
Negli ultimi anni è emerso un confronto politico e sindacale per tutelare il personale prossimo alla pensione, escluso dalla previdenza complementare. Diversi disegni di legge, promossi da esponenti come i ministri Pinotti e Gasparri, mirano a garantire un trattamento più equo per il comparto Difesa e Sicurezza, ma restano bloccati al Senato in attesa di confronto con le A.P.C.S.M.
Nel frattempo, il Governo ha istituito un fondo dedicato (art. 1, comma 95, L. 234/2021), poi potenziato, destinato a sostenere interventi per l’equità previdenziale del personale delle Forze Armate, di Polizia e dei Vigili del Fuoco.
L’obiettivo è attivare una previdenza dedicata, attraverso:
- Un fondo pensione complementare per i militari.
- L’adeguamento dei coefficienti di trasformazione, per compensare l’uscita anticipata.
- Il mantenimento del TFS (Trattamento di Fine Servizio), considerato più favorevole del TFR.
Queste misure puntano a valorizzare la specificità della carriera militare e a garantire maggiore sicurezza economica al personale in congedo.
Il ruolo del SIM Marina
Per il SIM Marina è fondamentale riconoscere e valorizzare la specificità del personale della Marina Militare e della Guardia Costiera, caratterizzata da responsabilità, vincoli e sacrifici che li distinguono dai dipendenti pubblici civili.
La questione previdenziale è centrale: l’età pensionabile fissata a 60 anni comporta un versamento contributivo inferiore rispetto a chi può restare in servizio fino a 67 anni. Sommando a questo il sistema contributivo puro, si genera una penalizzazione significativa sull’importo finale della pensione.
Per affrontare questa criticità, il SIM Marina promuove proposte concrete e articolate su due livelli:
- Previdenza complementare: rivolta al personale neoassunto, con adesione volontaria per chi ha meno di 10 anni di servizio permanente.
- Previdenza dedicata: destinata a chi non aderisce alla previdenza complementare, garantendo comunque un sostegno pensionistico adeguato.
Tuttavia, sia il disegno di legge sulla previdenza dedicata sia l’introduzione di un sistema di previdenza complementare sono ancora in fase di discussione. Ogni ritardo nell’iter legislativo rappresenta un rischio per il futuro previdenziale del personale della Marina e della Guardia Costiera.
Per questo motivo, il SIM Marina segue con attenzione ogni sviluppo normativo, attivando tutte le vie giuridiche e istituzionali disponibili, e sollecita l’adozione di provvedimenti urgenti per garantire un trattamento pensionistico equo, coerente con il servizio prestato.
L’impegno è chiaro: fare in modo che queste misure vengano attuate al più presto, assicurando una protezione previdenziale dignitosa e sostenibile per tutti i colleghi.
Per informazioni personalizzate sulla tua situazione previdenziale, scrivi a info@simmarina.com